I bisogni dei nostri concittadini, le esigenze di migliaia di operatori che chiedono più attenzione e organizzazione, le politiche di bilancio che condizioneranno sempre di più le nostre scelte, ci obbligano a tenere insieme le fila di una politica sanitaria coerente, che scommetta sulla qualità delle cure e sull’efficacia del sistema. Un compito che può essere assolto solo da una squadra che abbia al suo interno un equilibrio tra competenze tecniche e capacità politiche, con la voglia di innovare cercando di non scaricare i costi della necessaria riorganizzazione sui più indifesi: le persone che affollano sale d’attesa, ambulatori e ospedali della Puglia.
I dati del ministero della salute, anche se da valutare con prudenza, indicano una persistente difficoltà del sistema sanitario pugliese. Gli anni appena trascorsi sono stati duri. Il Piano di rientro ha imposto una serie di tagli radicali che hanno avuto un impatto negativo sulla qualità dei servizi erogati. E tanti cittadini, nell’urgenza di fare visite ed esami o di sottoporsi a interventi chirurgici, hanno ‘scelto’ di curarsi a pagamento oppure di non curarsi affatto. Per questo sono molto preoccupato, anzi spaventato dall’eventualità paventata del ministro Lorenzin, di una riedizione (sperimentata gli anni ’90) della centralizzazione della spesa sanitaria, in capo al governo, che porterà a tagli lineari e inguistificati.
Per definire un modello sanitario aderente alla domanda di salute e di assistenza che ci viene rivolta, bisogna ripartire dalla qualità delle prestazioni fornite ai pugliesi in un quadro che tenga conto delle specificità di ogni territorio: Bari non è Taranto o Brindisi. Ma soprattutto occorre rispondere a domande come queste: dopo la chiusura di 18 ospedali e la cancellazione di oltre 1.500 posti letto, ci sono ancora doppioni, strutture inadeguate e addirittura pericolose? E ulteriori tagli nella rete ospedaliera sono compatibili con Continua a leggere